Parasite, un capolavoro sul divario tra ricchi e poveri

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Conquistando agli Oscar del 2020 la statuetta nelle principali categorie (Miglior film, miglior regia e miglior film straniero), Parasite è il capolavoro di Bong Joon-ho che racconta la (fine della) lotta di classe e mette in risalto il divario sociale ed economicotra ricchi e poveri.

Astuto, irriverente, divertente, clamoroso e con un twist a metà che ribalta tutto, il regista ci mostra come, oggigiorno, le classi inferiori non vogliano più distruggere il sistema che le ha prodotte, bensì aspirino, come profetizzato negli anni Settanta da Pasolini, a sostituirsi al gruppo dominante, imitandone i modi, gli usi e i costumi.

Lasciate ogni speranza (marxiana), oh voi che entrate nella splendida dimora della famiglia Park…

La trama di Parasite racconta come, grazie all’intelligenza e alla creatività quasi artistica (ergo, fondata principalmente sull’imitazione e la manipolazione) del figlio Ki-woo, la famiglia Kim riesca a penetrare provvisoriamente nell’alta società. Come fossero re della truffa, del raggiro e della furbizia proletaria ai danni dei ricchi, questi indigenti senza lavoro sono capaci con astuzia di insinuarsi, uno alla volta, nella villa della benestante famiglia Park, fingendosi prima un tutore (il figlio), poi un’artista (la figlia), un autista (il padre) e infine una donna di servizio (la madre). Attraverso complotti e sabotaggi ai danni di chi prima di loro lavorava in quella casa, arrivano tutti ad abbandonare il vecchio appartamento di periferia per mettersi sì al servizio dei ricchi, ma anche per essere liberi di abitare nella loro magione, sfarzosa, calda e colma di cibo.

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È proprio questo paragone tra le due dimore che evidenzia i diversi stili di vita e mostra, dal punto di vista architettonico, la differenza che intercorre tra chi ha denaro da sperperare e chi vive nella miseria. Infatti, se la prima casa è caratterizzata dall’orrenda finestrella abbaino, rettangolare come un piccolo schermo casalingo da cui vedere i piedi e il fango della città, la seconda è un paradiso a vetri che dà su un bellissimo giardino privato. Se la prima ha la tazza del water su un gradone con un soffitto troppo basso, muffa ovunque e colori che vertono su una scala di grigi deprimenti, la seconda, tirata a lucido, è dominata dal colore bianco ed è piena di scale che portano ai diversi piani.

Questa differenza viene resa ancora più evidente grazie a una fotografia egregia che punta sull’utilizzo dei grandangoli, per le riprese riguardanti la villa, e su inquadrature strette, per rendere visivamente il senso di claustrofobia e intrappolamento, per la topaia dei Kim.

parasite-recensione-filmQuesti ultimi sono una specie di A-Team, una squadra coordinata, implacabile ed efficace, che vede una possibilità e si pone un obiettivo. Il gruppo è capitanato dal giovane Ki-woo, una sorta di doppio diegetico che costruisce e governa il racconto, attribuendo o ridefinendo i ruoli. Con la sua attitudine da bravo ragazzo e i giusti abiti, penetra nella famiglia Park, diventandone un parassita invisibile che succhia, fino al midollo, il loro denaro.

Parasite è quindi una commedia nera, piena di sarcasmo e di carica farsesca. Un film grottesco, ma anche metaforico, che se da un lato diverte, dall’altro inquieta perché rivelatore dei grossi problemi sociali presenti nella Corea del Sud. È un’analisi delle differenze tra classi sociali che fa sorridere in moltissime scene, ma che lascia un’angoscia di fondo che ti persegue anche nei giorni successivi alla visione del film.

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La pellicola misura quindi la spietata distanza che separa il mondo del superfluo da quello della sopravvivenza e lo fa con una storia originale, piena di umori, con una sceneggiatura senza buchi, congegnatissima e di grande stile formale. La vicenda personale è sempre contestualizzata nella situazione più generale di una Corea – anzi, di un mondo – che non sta bene.

Per concludere, Parasite è quindi un film modernissimo, che attraversa toni e generi (comedy, drammatico, catastrofico, psycho thriller), senza perdere mai ritmo, coerenza e obiettivi. È una storia che fa riflettere senza annoiare, adatta a tutti i palati e con un finale crudo, inaspettato e decisamente scioccante.

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REVIEW OVERVIEW
Regia:
Sceneggiatura:
Cast:
Costumi/Scenografia:
Fotografia:
Sono Laura Montagnani, classe 1997, e sono laureata in Marketing e Comunicazione alla Bocconi di Milano. Appassionata di cinema, divoratrice di libri, cittadina del mondo ... alla ricerca del mio posto nel mondo.