Si muore solo da vivi: ogni uomo è un fiume che cerca il suo mare

si muore solo da vivi recensione

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Orlando (Alessandro Roja) è un ex musicista che, in teoria, vive in una baracca sul Po, ma, in pratica, a quarant’anni è ancora a casa di mamma e papà senza un vero lavoro.

Nella sua tragicità, il terremoto che ha colpito l’Emilia nel 2012 ha rappresentato un punto di svolta nella sua vita, spingendolo a cercare di ricomporre i cocci senza più arrendersi alla prima difficoltà.

Come tutte le cose, anche la tecnologia ha i suoi pro e contro, ma di certo l’emergenza Covid 19 ne ha fatto l’unico mezzo di comunicazione… e cos’è l’arte se non la più alta forma di comunicazione?

Si muore solo da vivi è uno dei film che sarebbero dovuti uscire nelle sale cinematografiche italiane nei primi mesi di questo, a dir poco strano, 2020 e che la tecnologia ha reso comunque fruibili al pubblico grazie alle numerose piattaforme streaming che la rete mette a disposizione oggigiorno.

Il film è l’opera prima di Alberto Rizzi, regista e attore veronese, già noto per il grande successo ottenuto con il cortometraggio Sleeping Wonder e le sue produzioni teatrali ispirate al mondo classico. La pellicola, fin dai suoi albori, è stata concepita come un lavoro fortemente filosofico e poetico che ha visto la luce dopo aver avuto il coraggio di seguire la corrente senza mai remarle contro. Persino il titolo «è arrivato […] portato dal fiume o dal flusso», come ha dichiarato lo stesso Rizzi, che ha scelto Si muore solo da vivi come titolo del suo primo film dopo aver casualmente letto questa frase su un murales in Emilia.

A quanto pare, però, un po’ tutto il film è stato portato dal fiume, perché se è vero che «Alessandro Roja […] si è dimostrato il primo appassionato di questo film», Alessandra Mastronardi «è la Audrey Hepburn italiana» e Marcorè e Pannofino hanno da subito messo a disposizione tutta la loro esperienza, di certo a Rizzi non è rimasto altro che seguire la propria visione senza lasciare troppo spazio alle spiegazioni.

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In una Padania dai colori vagamente felliniani, un battello naviga sul Po e la navigazione diventa momento di riflessione, tanto per il capitano (Ugo Pagliai) che lo fa ad alta voce, quanto per lo spettatore, che può farlo nel silenzio del proprio io, sullo scorrere del fiume come metafora dello scorrere della vita umana. Dopotutto, chi ha detto che ogni uomo è un fiume alla ricerca del proprio mare non aveva poi tutti i torti, anche se a differenza del fiume, a volta la vita concede una seconda occasione.

Nel terremoto del 2012, Orlando non ha perso solo suo fratello e sua cognata, i genitori della piccola Angelica, ma, insieme a loro, anche quel pizzico di leggerezza che gli aveva permesso, fino ad allora, di vivere della sua passione: la musica – per non parlare della fine della relazione con Chiara (Alessandra Mastronardi), la donna della sua vita.

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È proprio dalla musica che partirà la sua rinascita, perché, nonostante abbia l’aria da quarantenne destinato a essere un perdente, al protagonista non serve che un “adulto” che gli indichi la strada aiutandolo a «riscoprire la bellezza di fare le cose insieme».

Girato sulle rive del Po, tra Borrello, Gonzaga, Montecchio Emilia, Reggiolo e Viadana, Si muore solo da vivi è un chiaro omaggio del regista non solo al cinema – oltre a Fellini, si possono cogliere dei riferimenti a Sorrentino nella figura del pappagallo o nella scelta di rappresentare la scomparsa del fratello e della cognata di Orlando sotto forma di un bagno in latte e formaggio – ma all’arte in genere: Orlando e Angelica non sono due semplici nomi, ma rappresentano l’amore del regista Rizzi per Ludovico Ariosto, autore emiliano, e la sua letteratura, mentre l’ambientazione e le sue sfumature, rimandano ai lavori di Ligabue e Carlo Mazzacurati.

Certo, ci sono dei punti in cui la pellicola risulta persino troppo curata, ma la delicatezza che contraddistingue Si muore solo da vivi li mette di sicuro in ombra in favore di una generale sensazione di simpatia dello spettatore nei confronti del risultato finale.

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