Roma- il capolavoro di Alfonso Cuaròn

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La pellicola è ambientata negli anni ’70 a Città del Messico. Cleo è una domestica tuttofare presso una famiglia di discendenza spagnola, composta da Sofia, sua madre Teresa, suo marito Antonio, quattro figli e un’altra cameriera, Adela.

Affidandosi ai ricordi della sua infanzia, il regista Alfonso Cuaròn segue la quotidianità dei protagonisti e, in particolare, di Cleo, personaggio ispirato alla sua tata. La giovane si occupa di ogni singolo aspetto della vita casalinga, dal pulire il cortile dagli escrementi del cane al dare il bacio della buonanotte ai bambini.

Il contrasto socio-culturale fra Cleo, nativa india, e il nucleo familiare di discendenza spagnola per cui lavora è evidente ma il regista non racconta solo questo. Descrive un’umanità desolata e avvilita, ultimi che si prodigano per i bisogni di una famiglia che non è la loro e ci mostra la forza delle donne, capaci, nel momento del bisogno, di fare squadra anche al di là delle differenze di classe.

Cleo e Sofia, la padrona di casa, sono due donne che cercano di sopravvivere in un mondo in cui il supporto e la presenza maschile sono pressoché assenti. La prima rimane incinta e viene lasciata dal compagno. La donna, temendo il licenziamento, rivela a Sofia la notizia. Non solo conserverà il posto, ma troverà nella datrice di lavoro conforto e sostegno materiale. La seconda, invece, viene abbandonata dal marito e, con grande forza d’animo, riesce a mentire ai figli, dicendo loro che il viaggio di lavoro del padre durerà più a lungo del previsto. E, anche lei, troverà solamente nella sua domestica complicità e aiuto.

Le due attrici che interpretano Cleo e Sofia, Yalitza Aparicio e Marina de Tavira, creano due ritratti femminili intimi e profondi, dai quali traspare l’enorme gamma di emozioni e sentimenti che le due protagoniste provano durante tutto l’arco narrativo. Esordiente la prima e con qualche piccola parte alle spalle la seconda, entrambe vengono candidate all’Oscar.

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Alfonso Cuaròn (conosciuto soprattutto per I figli degli uomini e Gravity), dal canto suo, si aggiudica la statuetta per miglior regia e miglior fotografia. La sua è una regia carica e potente, fatta di piccoli movimenti di macchina sempre ben studiati e di lunghi piani sequenza che proiettano lo spettatore all’interno degli avvenimenti e degli ambienti. A volte, però, la tecnica prende il sopravvento e il dubbio che Cuaròn abbia girato delle sequenze in modo così elegante e raffinato più per creare un’opera ineccepibile che colpisse lo spettatore che per effettive esigenze artistiche, sorge in maniera spontanea.

Lo stesso si può dire per la fotografia: la scelta del bianco e nero è sicuramente azzardata in tempi come questi ma si sposa perfettamente con la storia narrata e con l’epoca in cui è ambientata. Inoltre contribuisce a creare un film difficile da dimenticare. Nonostante l’ovvia scala cromatica ridotta, ci sono moltissime sequenze di forte impatto visivo. Tuttavia, anche in questo caso, ci si chiede se il lirismo e la perfetta composizione della scene siano davvero necessari per raccontare una storia che, a detta dello stesso regista, è scaturita dal cuore (basti citare una delle scene iniziali in cui un aereo si specchia perfettamente nell’acqua versata da Cleo per pulire o quella in cui la domestica e uno dei quattro bambini si fingono morti sul balcone, fondamentale per comprendere il senso della storia ma resa visivamente in maniera, forse, troppo dispersiva).

In altri momenti della narrazione la fotografia riesce invece a cogliere l’essenza della pellicola, soprattutto nella scena in cui Cleo e i bambini si abbracciano sulla spiaggia. Altro tema fondamentale, infatti, è proprio la maternità e i diversi modi di essere madre, anche in senso metaforico. In una pellicola curata alla perfezione in ogni dettaglio stilistico il punto debole, se si vuole trovarne uno, è la sceneggiatura. La lentezza della narrazione è sicuramente dettata dal soggetto proposto ma in alcuni punti la si poteva stemperare maggiormente, per non rendere troppo difficile da seguire una trama già di per sé impegnativa.

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Roma è quindi un film complesso, raffinato, che affronta in maniera lucida ma non retorica molteplici tematiche, alcune ancora molto attuali. L’eco dei tumulti sociali avvenuti in Messico negli anni ’70 si sente solo in lontananza e prende il sopravvento solo in pochissimi momenti. Uno di essi è la rappresentazione di un tumulto scoppiato in strada, esplicito riferimento alla strage di studenti avvenuta nel 1971 ad El Halconazo. Avvenimento che diviene fondamentale anche all’interno della pellicola, poichè è in quel preciso momento che a Cleo si rompono le acque, a causa dello shock di aver riconosciuto il fidanzato fra i militanti armati.

Il coinvolgimento personale di Cuaròn è evidente ed è forse proprio per questo che il film, in fondo, coinvolge ma non convince del tutto, perché non si può fare a meno di chiedersi se fosse davvero questo il modo migliore per raccontare una storia nata da un’esigenza emotiva.

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Classe 1994, laureata in Lettere moderne alla triennale e in Scienze dello Spettacolo alla magistrale. Da sempre appassionata di cinema, coltiva il sogno di diventare critica cinematografica. Guarda di tutto e si appassiona ad ogni genere, dal film d’autore fino ai cinecomics. Per lei sarebbe impossibile stilare una classifica delle sue pellicole preferite. Se non sapete dove trovarla, probabilmente è in sala a gustarsi un nuovo film.