Bohemian Rhapsody- il film su Freddie Mercury e i Queen

bohemian rapsody-recensione-film

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“I’m just a musical prostitute, my dear”.

Bohemian Rhapsody è il film biografico, diretto da Bryan Singer e prodotto da Robert De Niro, Jim Beach e Graham King, che racconta la storia della nascita dei Queen e dell’irriverente vita del loro frontman: Freddie Mercury.

La pellicola è diventata il biopic musicale di maggior successo nella storia del cinema, incassando più di 500 milioni di dollari al boxoffice internazionale e oltre 150 milioni solo negli Stati Uniti, una nazione storicamente fredda nei confronti di una band così british nei modi e nel sound. Nessuno, inizialmente, avrebbe pensato che si potessero raggiungere questi risultati. Infatti, quando per la prima volta fu annunciato il progetto di un film dedicato a Freddie Mercury, i fan di tutto il mondo si ribellarono, convinti che nessuno avrebbe mai potuto interpretare il leggendario cantante così come nessuno avrebbe mai potuto eguagliare il suo timbro vocale e la sua tecnica.

Nonostante le preoccupazioni iniziali, credo che questi ultimi siano stati proprio gli elementi più riusciti del film. Infatti, ad echeggiare dallo schermo, è proprio la vera voce del mitico Freddie Mercury (anche se mixata a quella del cantante canadese Marc Matel) e ad interpretare questo grande performer è niente meno che Rami Malek (aggiudicatosi il ruolo che inizialmente era stato attribuito a Sacha Baron Cohen).

L’attore ha svolto un’interpretazione da Oscar, portando sul grande schermo un personaggio controverso e immortale, un ruolo che, se interpretato con superficialità, gli sarebbe probabilmente costato la carriera. Ma il nostro Malek ha veramente dato anima e corpo in questo film, mostrando al mondo il lato più umano di Freddie Mercury. Ha rispettato il personaggio al 100%, imitandolo nelle movenze e nel modo di parlare senza mai risultare parodico od offensivo.

Al suo fianco, l’attore di Mr Robot vanta star di tutto rispetto, come Gwilym Lee nei panni di Brian May, Ben Hardy in quelli Roger Taylor, Lucy Boynton nel ruolo di Mary Austin e Joseph Mazzello in quello di John Deacon. La cosa che più sorprende di tutto l’apparato scenotecnico è sicuramente il lavoro dei costumisti e dei truccatori che hanno reso questi attori quasi identici ai personaggi originali. Infatti la somiglianza fisica e gestuale è davvero impressionante. Il risultato estetico è veramente notevole e ci sono momenti in cui sembra davvero che quelli sullo schermo siano i Queen di quarant’anni fa.

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Continuando con la parte tecnica, Bohemian Rhapsody è un ottimo lavoro registico e fotografico. Bello l’uso dei primissimi piani, riservati quasi esclusivamente al personaggio di Freddie Mercury, ma anche dei campi lungi, atti a mostrare la distesa dei fan della band. È un film che, nonostante la sua durata di 134 minuti, non ti annoia mai, anzi, ti cattura e ti trasporta nella vita e nell’interiorità di un personaggio unico ed affascinante. Il merito è sicuramente anche del montaggio e della scenografia, ricca di dettagli e particolari, volti a mostrare allo spettatore tutte le sfaccettature della vita dei musicisti di quegli anni.

Il film è una meraviglia audiovisiva che culmina nei 20 minuti finali con la riproduzione in modo estremamente fedele dell’intera partecipazione dei Queen al concerto del Live AID del 1985. Le indimenticabili canzoni, il carisma naturale di Mercury e il contesto di una delle performance musicali più famose e celebrate di tutti i tempi, permettono a Bohemian Rhapsody di chiudere in bellezza la pellicola e di far uscire dalla sala molti fan con le lacrime agli occhi.

Il vero punto di forza di questo film sono quindi le performance musicali che rendono quasi impossibile non cantare. È evidente che la pellicola ha una struttura molto simile alla canzone che le dà il titolo. C’è una introduzione di grande effetto, una parte centrale drammatica e quasi operistica, ed un energico finale molto rock.

Tuttavia, se per molti frangenti il film riesce a riprodurre in pieno la storia dei Queen, è anche vero che la sceneggiatura di Anthony McCarten e Peter Morgan sceglie consapevolmente di tradire non solo la realtà dei fatti ma anche lo stesso Freddie Mercury. Ci sono tantissime biografie sulla storia del cantante eppure in nessuna è mai stato fatto cenno ad uno scioglimento (seppure temporaneo) della band o a delle tensioni create nel gruppo per il desiderio di Mercury di intraprendere una carriera da solista parallela ai Queen. Questo perché, sia Brian May che Roger Taylor, avevano già avuto esperienze del genere al di fuori della band.

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Un’altra discordanza con la realtà, riguarda il rapporto con Mary Austin, la cui amicizia, stando a dati ufficiali, non attraversò mai il periodo di crisi mostrato nella seconda parte del lungometraggio, quando l’edonismo di Mercury prende il sopravvento.

Inoltre, tra i momenti clou della pellicola, c’è il rapporto lavorativo tra i cantanti e Ray Foster, un dirigente della casa discografica EMI che non approva la canzone Bohemian Rapsody perché troppo lunga per poter passare alla radio. Ebbene, il personaggio è in realtà una fusione di diversi executives che non andarono d’accordo con la band (sebbene nessuno di loro arrivò mai ad un litigio tale da annullare il sodalizio con il gruppo). La scena in realtà ha soprattutto una valenza meta-cinematografica: Foster è infatti interpretato da un irriconoscibile Mike Myers, che in “Fusi di testa” ha una passione smisurata proprio per Bohemian Rhapsody.

Il film quindi risulta ricco di imprecisioni, riservandosi delle licenze poetiche poco gradite agli spettatori e inventandosi una serie di conflitti interni ed esterni mai avvenuti. Per la maggior parte dei casi si tratta ovviamente di modifiche atte a regalare una maggiore tensione drammaturgica ad una storia che, di base, non ne avrebbe. Anche perché, ammettiamolo, i Queen non hanno mai tenuto comportamenti particolarmente eccessivi o trasgressivi al di fuori del palco. Certo, Freddie era bisessuale ed è morto di AIDS, ma era anche incredibilmente attento alla sua privacy.

Ecco quindi la necessità in Bohemian Rhapsody di aggiungere elementi più avvincenti a discapito di una realtà dei fatti ben nota ai fan del gruppo. Anche la scelta di fermarsi al 1985 e non raccontare i successivi sei anni di carriera e di vita del gruppo e del cantante, ha lasciato un po’ l’amaro in bocca agli spettatori, nonostante girino voci di un possibile sequel chiamato The Show Must Go On?.

Per concludere, nonostante i difetti, devo ammettere che Bohemian Rhapsody è veramente affascinante, un film che ti farà innamorare nuovamente o per la prima volta dei Queen e, soprattutto, del solo ed unico Freddie Mercury.

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Sono Laura Montagnani, classe 1997, e sono laureata in Marketing e Comunicazione alla Bocconi di Milano. Appassionata di cinema, divoratrice di libri, cittadina del mondo ... alla ricerca del mio posto nel mondo.