“The Shape of Water”: le fiabe Disney si macchiano di nero

the shape of water- recensione

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The Shape of Water è il film che quest’anno, più di ogni altro, ha sconvolto l’Accademy. Con le sue 13 Nomination (ammazza!) è volato in vetta alle classifiche delle pellicole favorite agli Oscar del 2018, che si terranno la notte del 4 Marzo.
Miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista, miglior sceneggiatura originale, miglior attore non protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior montaggio, scenografia, colonna sonora originale, sound mixing, sound editing, costumi e fotografia…. E se ce n’erano altri probabilmente avrebbe avuto delle nomination anche per quelli!

Ma è davvero così bello come promette di essere? Mmmh, forse NO.

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Non fraintendetemi, il film mi è piaciuto e penso che le nomination che ha ricevuto siano più che meritate. Tuttavia, come mi successe l’anno scorso per “La La Land”, forse perché anche questa volta sono partita piena di aspettative o semplicemente perché mi piace andare controcorrente, non ne sono rimasta tremendamente folgorata. La trama, per esempio, non l’ho trovata poi così originale.

Il film è ambientato in un laboratorio segreto ad alta sicurezza, nel pieno della Guerra Fredda americana, dove l’addetta alle pulizie, Elisa (Sally Hawkins), si sente intrappolata in un mondo di silenzio e solitudine a causa del suo mutismo. La sua vita cambia profondamente quando, insieme alla collega Zelda (Octavia Spencer), viene incaricata di pulire una stanza contente un pericoloso esperimento governativo: un essere squamoso dall’aspetto umanoide, tenuto in una vasca sigillata piena d’acqua. Tra Elisa e il mostro si crea, tra un uovo e l’altro (chi ha già visto il film capirà), una tenera complicità che spingerà la donna a fare carte false pur di salvare la creatura dalle grinfie dei folli scienziati.

Non so voi, ma a me tutto questo mi ricorda un po’ un mix tra “E.T.”, “La Sirenetta” e “La Bella e la Bestia”. La storia tra un essere umano e un mostro è purtroppo qualcosa di tremendamente familiare che rimanda troppo alla tradizione e che da quella sensazione di già visto. Ad accentuare questo presentimento è anche la presenza di un narratore esterno/interno, tipico delle favole. Più che originale, quindi, mi sembra una rivisitazione delle fiabe Disney in chiave gotica con un pizzico di suggestioni fantasy.
Detto questo, bisogna ammettere che, sul lato tecnico, nessuno ha niente da eccepire. La regia di Guillermo del Toro è una delle migliori di tutti i tempi. Il suo occhio vigile è sempre nel posto giusto al momento giusto. Ci catapulta all’interno della storia mettendoci nella condizione di viverla davvero.

Anche i costumi sono curatissimi, l’illuminazione suggestiva e contrasti cromatici studiati nel dettaglio: persino un occhio inesperto riuscirebbe a notare quanto sia eccezionale l’uso dei colori. Da apprezzare la musica e quel je ne sais pas di francese che aleggia per tutta la durata del film.

Devo ammettere però che la pellicola è piuttosto lenta. Più che un’escalation fino ad un’esplosione finale, è una narrazione composta di alti e bassi che alterna la complicità e la pacatezza di un’eterna storia d’amore a momenti frenetici e incalzanti. Ci sono attimi di euforia che cambiano quasi il mood del racconto, come se Del Toro non riuscisse a trattenere il suo animo visionario che negli anni ha dato vita a film come “Crimson Peak”, “Il labirinto del fauno” e “Lo Hobbit”.
Emblematico della sua natura poco romantica è certamente questo finale molto prevedibile (che non spoilero, tranquilli) che sembra adattarsi, più per mancanza di fantasia che altro, alle regole del cinema classico Hollywoodiano.

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Ultimo argomento da affrontare: gli attori. Personalmente, ho apprezzato molto di più i personaggi secondari che quello principale. Richard Jenkins, nel ruolo di Giles, l’amico omosessuale di Elisa, è riuscito con la sua simpatia a rendere la storia un po’ più frizzante, dando un pizzico di ironia che non guasta mai. Il personaggio migliore, però, è quello di Octavia Spencer : forte, sprezzante e dalla lingua sempre troppo lunga, è il manifesto del girl’s power per eccellenza. Nonostante debba ammettere che tutti i personaggi che interpreta siano piuttosto simili l’uno con l’altro (basti pensare a “The Help” o a Il Diritto di Contare”), bisogna ammettere che questo ruolo le calza a pennello e lo fa da Dio.

Per quanto riguarda Sally Hawkins devo dire che non mi ha fatto impazzire. Interpretando un personaggio muto doveva essere in grado, solo con lo sguardo, di trasmettere mille emozioni. Inoltre, avendo dovuto svolgere solo il 75% dell’usuale lavoro di un attore (mimica facciale e gestualità) mi sarei aspettata qualcosa di più.

In conclusione, credo che The Shape of Water riuscirà a strappare diverse statuette all’Accademy. Se non per miglior film o miglior attrice protagonista, sicuramente ha buone chance di vincere numerosi premi tecnici, regia e costumi soprattutto. Solo il tempo ci dirà se ho ragione.
Intanto vi consiglio di andare al cinema a vedere questo film e di commentare qui sotto con la vostra opinione e i vostri pronostici.

Sono Laura Montagnani, classe 1997, e sono laureata in Marketing e Comunicazione alla Bocconi di Milano. Appassionata di cinema, divoratrice di libri, cittadina del mondo ... alla ricerca del mio posto nel mondo.